Fabrizia Ramondino
a cura di Giuseppe Guarracino
Fabrizia Ramondino (1936-2008) è stata una scrittrice italiana.
«Siccome mi aveva detto – a me, che ero la figlia maggiore, usava confidare le sue amarezze – che lo zio Alceste non voleva prestarle libri, perché ne era geloso e adduceva a pretesto la presenza di noi bambini che li avremmo rovinati – mi pareva che smettesse di leggere per risparmiare il libro e farlo durare più a lungo; allora, sentendomi accomunata a lei da questa miseria, mi avvicinavo, e avrei voluto farmi libro perché mi leggesse».
F. Ramondino, Althénopis
Vita e formazione
Nata a Napoli il 31 agosto del 1936, ancora in fasce Fabrizia Ramondino si trasferì con la famiglia a Maiorca, dove il padre, Ferruccio, era stato nominato console. Il soggiorno terminò nel 1943, quando l’armistizio dell’8 settembre sancì la decadenza degli impegni consolari paterni. Sull’infanzia maiorchina, trascorsa soprattutto nella villa di San Batle, Ramondino tornò spesso nelle sue opere, ricordando con affetto la balia, la lingua parlata dai domestici e la severa educazione della madre, Pia Mosca, membro di una colta famiglia napoletana (il cugino di Pia, Pietro La Via, fu seguace di Bergson e pubblicò nel 1947 Mente e realtà, un libro che interpreta polemicamente alcune posizioni filosofiche di Croce). Imbarcatisi su una nave da guerra italiana, Fabrizia, la madre e i fratelli (Giancarlo, nato nel 1938 e Annalisa, nata nel 1939) riuscirono a raggiungere Taranto, mentre il padre fu fatto sbarcare a Tangeri e venne internato in un campo di prigionia.
Dopo una breve parentesi napoletana, i Ramondino si stabilirono a Santa Maria di Massa Lubrense, nella penisola sorrentina, per sfuggire ai bombardamenti. La famiglia lasciò Massa Lubrense nel 1949 per Chambery, dove Ferruccio aveva ottenuto un nuovo incarico diplomatico, e dove Fabrizia frequentò il primo ciclo scolastico superiore, dopo che a Maiorca era stata educata in un collegio femminile. L’improvvisa morte del padre, tuttavia, costrinse la famiglia a tornare in Italia, prima ospite nelle case dei parenti napoletani, poi nel vesuviano, nelle proprietà del marito della sorella della madre, e infine di nuovo a Napoli. Lì, Ramondino completò il ciclo di istruzione secondaria, ottenendo la maturità classica.
Dopo aver vinto un viaggio premio a Parigi, nel 1954 si trasferì in Germania, lavorando come traduttrice a Francoforte sul Meno, a Heidelberg e a Monaco, aggiungendo un altro tassello a un bagaglio linguistico e culturale già a quel tempo particolarmente variegato. Il soggiorno si prolungò fino al 1957, quando una crisi emotiva la spinse a rientrare in Italia. Dopo un periodo di stasi, su invito della domestica della casa materna, Fabrizia cominciò a dedicarsi ad attività pedagogico-didattiche per i bambini napoletani, un impegno che, con varie forme, portò avanti fino almeno al 1966. In questi anni, Fabrizia si iscrisse all’Istituto orientale di Napoli – lo stesso nel quale aveva studiato il padre –, dove si laureò in francesistica con una tesi sulle posizioni misogine di Pierre-Joseph Proudhon. Durante gli studi universitari, le iniziative politico-sociali si erano fatte più intense: alla fine degli anni Cinquanta, si dedicò ai bambini di Quarto, un comune rurale vicino Napoli, dove Ramondino si trasferì con il futuro marito, Francesco Alberto Caracciolo, aspirante pittore e membro di un’antica famiglia aristocratica; ai primi anni Sessanta risale, invece, la fondazione dell’ARN (Associazione Risveglio Napoli), per la quale si impegnò nell’organizzazione di una mensa e di una scuola serale nei vicoli di Napoli (entrambe le attività pedagogiche saranno ricordate nell’Isola dei bambini del 1998).
Finita la relazione con Caracciolo, Ramondino si legò per qualche anno a Livio Patrizi, musicista e giornalista. Nel 1966, a Milano, dove Patrizi risiedeva, lesse la Cognizione del dolore di Carlo Emilio Gadda. La lettura le ispirò il primo nucleo di quello che sarà il suo romanzo d’esordio, Althénopis (al momento della pubblicazione, nel 1981, quanto scritto in questi anni andrà a far parte dell’ultima sezione del romanzo). Fino al 1966, Ramondino aveva scritto soltanto poesie (alcuni componimenti di questo periodo saranno pubblicati nel 2004, nella raccolta Per un sentiero chiaro). Nello stesso 1966, dalla relazione con Patrizi, nacque l’unica figlia di Ramondino, Livia.
Dopo essere stata riconosciuta idonea all’insegnamento del francese nelle scuole superiori, Ramondino scelse di tornare a Napoli con la bambina e cominciò a insegnare nelle scuole pubbliche, prima in un istituto professionale di Torre Annunziata, poi a Napoli (con una breve parentesi milanese nel biennio 1968-69). L’insegnamento scolastico le apparì come opprimente, soprattutto se rapportato alla libertà dei metodi pedagogici che aveva sperimentato nei vicoli di Napoli, ma poté abbandonare il lavoro soltanto nel 1984. A mitigare questa oppressione, contribuì l’impegno politico. Insieme a Enrico Pugliese e a Giovanni Mottura, infatti, fu tra i fondatori del CCC (Centro Coordinamento Campano), un’associazione afferente alla Nuova Sinistra, con una spiccata vocazione per le inchieste sociali (per le pubblicazioni del centro scrisse l’articolo Contro l’uso capitalistico del colera, edito nel 1974). Tuttavia, Ramondino uscì dal gruppo quando, dopo la svolta avviata nel 1973, il CCC confluì in Avanguardia Operaia, dandosi una struttura partitica.
Attività letteraria
La separazione dal gruppo non significò la fine dell’attività politica. Su commissione di Goffredo Fofi, nel 1977 Ramondino pubblicò per Feltrinelli un’inchiesta sui disoccupati napoletani (Napoli. I disoccupati organizzati). Si tratta del vero esordio editoriale della scrittrice, se si eccettua la tesi di laurea pubblicata sulla rivista anarchica «Volontà» e le inchieste per il CCC, scritte e firmate anche dagli altri componenti del gruppo. Per l’esordio narrativo, invece, bisogna aspettare il 1981, quando Einaudi pubblicò Althénopis. Il romanzo sorprese i compagni di militanza, che non sospettavano della vocazione letteraria di Ramondino; ed ebbe un notevole successo critico (vinse il premio Napoli per la narrativa). Molto apprezzato fu anche il libro successivo, la raccolta di racconti Storia di Patio (1983), i cui primi testi trasfigurano l’infanzia maiorchina. Sugli anni della militanza politica nelle file della Nuova Sinistra, invece, è incentrato il secondo romanzo, Un giorno e mezzo, pubblicato nel 1988.
Già poco tempo dopo l’esordio letterario, tuttavia, Ramondino si dimostrava scrittrice molto eclettica, pubblicando parallelamente alle storie finzionali opere di diversa natura, come Taccuino tedesco, uno scritto al quale è affidato il racconto di due diversi soggiorni in Germania e nel quale ai ricordi personali sono accostate osservazioni e commenti di tipo sociologico, culturale e letterario (l’opera sarà riedita, postuma, nel 2010 con un’inedita terza parte nata dai frequenti viaggi in Germania, causati dal trasferimento della figlia, prima ballerina nella compagnia di Pina Bausch e poi coreografa); e come Star di casa, una raccolta di tre saggi narrativi nei quali Ramondino riflette, a partire dal terremoto dell’Ottanta, sullo sradicamento e sulla porosità della propria condizione identitaria. È questa tipologia di scrittura la cifra di Ramondino negli anni Novanta. Nel 1995, infatti, pubblicò la raccolta In viaggio nella quale trovano spazio testi di natura diversa accomunati dal tema odeporico. Del 1998 è L’Isola riflessa, anch’esso un libro dalla natura ibrida, nel quale si alternano, senza discontinuità, commenti personali, racconti, aneddoti storici e riflessioni.
Intanto, Ramondino aveva lasciato Napoli, trasferendosi a Itri, vicino Gaeta. A questo periodo risale la collaborazione con Mario Martone, con il quale scrisse la sceneggiatura di Morte di un matematico napoletano (1992). Con il regista, firmò poi la sceneggiatura dell’episodio La salita nel film collettivo I vesuviani (1997); e di Martone è la regia dell’unico lavoro teatrale che Ramondino volle rappresentare in vita, Terremoto con madre e figlia del 1994.
Tra le esperienze di questi anni, particolare rilievo assumono il soggiorno presso il popolo saharawi nel deserto algerino, dove si recò per accompagnare Martone e la sua troupe, impegnati in un documentario (il resoconto di quest’esperienza è nel libro Polisario. Un’ astronave perduta nel deserto); e la frequentazione nel 1998 del Centro donna di salute mentale di Trieste, diretto dalla psichiatra Assunta Signorelli, allieva di Franco Basaglia (il resoconto di quest’esperienza è Passaggio a Trieste del 2001).
Il nuovo millennio, invece, segna il ritorno a una scrittura più marcatamente narrativa, soprattutto con Guerra di infanzia e di Spagna, romanzo nel quale Ramondino trasfigura nuovamente la propria infanzia maiorchina, ospitando e ampliando alcuni nuclei narrativi già presenti nella raccolta Storia di Patio. Uniche eccezioni sono la già citata raccolta di poesie Per un sentiero chiaro e Il libro dei sogni, nel quale la scrittrice si fa interprete di se stessa, rileggendo alcuni sogni trascritti durante due diversi percorsi psicoanalitici (entrambi con psicoanalisti junghiani, il primo nel 1964, il secondo nel 1969). Di impianto più tradizionale, infine, sono le raccolte di racconti Il calore (2004), Arcangelo (2005) e il romanzo La via (2008), pubblicato pochissimi giorni dopo la morte di Ramondino, avvenuta a Itri il 23 giugno del 2008.
Poetica e pensiero
La produzione letteraria di Fabrizia Ramondino è assai variegata nelle forme, ma presenta una notevole coerenza interna. Parte del suo itinerario letterario appare già tracciato con Althénopis. Romanzo d’esordio di una scrittrice già matura, il libro è diviso in tre sezioni, che trasfigurano romanzescamente tre fasi della vita di Ramondino: il soggiorno a Massa Lubrense, nel romanzo chiamata Santa Maria a Monte, tra la fine della II Guerra mondiale e i primi anni del Dopoguerra; le pellegrinazioni della famiglia dopo la morte del padre; e infine il ritorno nella casa materna dopo i soggiorni in Germania e nel nord Italia. Althénopis, che dà il titolo al libro, è una chiara trasfigurazione di Napoli, sebbene in città sia ambientata soltanto, e in modo parziale, la seconda parte del libro. Più che Napoli, al centro del romanzo vi è una famiglia napoletana, di ceto e cultura altoborghese, e soprattutto vi sono i rapporti che un membro di questa famiglia, la protagonista (nelle prime due parti anche narratrice), matura con essa.
Nella prima sezione, particolare attenzione è prestata al contrasto tra l’infanzia e l’età adulta, che rimanda a una serie di contrapposizioni più ampie, tra cui quella tra Althénopis e Santa Maria a Monte, che a sua volta allude all’opposizione tra la società, con i suoi obblighi e le sue classi, e la natura. L’io narrante riconosce in sé stessa l’ambigua cerniera di queste polarità, maturando a poco a poco un forte senso di isolamento, che il lettore percepisce soprattutto osservando l’evoluzione del rapporto madre-figlia. Nella seconda parte del romanzo, l’io narrante approfondisce indirettamente i dislivelli sociali, sperimenta l’alternarsi delle fortune economiche e riflette sulla progressiva esclusione dall’Eden dell’infanzia. La terza parte, invece, tematizza esplicitamente il rapporto madre/figlia, osservando le due figure dall’alto grazie al cambio di tipologia di narratore (il racconto è qui affidato a un narratore extradiegetico e onnisciente). La Figlia, così è chiamata la protagonista nella terza parte del romanzo, vive un momento di forte contraddizione, perché il suo ritorno nella casa materna rappresenta una sorta di fallimento personale. Il romanzo si chiude con la morte della Madre, anch’essa appellata soltanto con il nome comune e la lettera maiuscola, preceduta però da un breve regresso alla dimensione infantile, sperimentato negli ultimi attimi di vita. Un ritorno circolare all’infanzia che fa della madre-bambina un paradossale simbolo di speranza e di rigenerazione.
L’analisi dei conflitti di classe e l’autobiografismo del primo romanzo tornano, sotto nuove forme, in Un giorno e mezzo. Il romanzo è ambientato a Napoli, in una villa di Posillipo, Villa Amore, tra il 21 e il 22 settembre del 1969. Nella villa, ormai lottizzata, membri della nobile famiglia Amore convivono con giovani operai e studenti, al tempo dei conflitti sociali post-sessantottini. A fare da cerniera tra i due gruppi sociali, è Costanza, nipote di Don Giulio Amore, nobiluomo decaduto e libertino, ma allo stesso tempo attivamente coinvolta nelle riunioni politiche degli studenti. Tra il gruppo di Villa Amore e i gruppi politici rivali è possibile riconoscere diverse anime della Nuova Sinistra napoletana (il gruppo Gramsci, le Sinistra Universitaria, il primo nucleo dei CCC). Lo sguardo di Ramondino, tuttavia, è profondamente ironico: non si limita ad analizzare la situazione politica, ma si diverte a sottolineare le contraddizioni interne sia della nobiltà decaduta sia dei giovani contestatori, mischiando pubblico e privato. Anche in questo romanzo, inoltre, un ruolo privilegiato è riservato al tema della maternità, grazie al personaggio di Pio Pia, una bambina, figlia di Costanza, che cresce in compagnia della madre e di una sua amica, Erminia.
Con Taccuino tedesco, invece, compare per la prima volta un altro elemento costituivo dell’attività letteraria di Ramondino: il tema odeporico. Diviso in due parti, il libro raccoglie in forma diaristica le impressioni scaturite da due soggiorni in Germania, il primo avvenuto tra il 1954 e il 1957 e il secondo tra il 1983 e il 1986. Si tratta di sezioni tra loro molto diverse, perché differente è la natura dei due viaggi. Nella prima parte, infatti, Ramondino riflette sulle impressioni avute da ragazza, quando il trasferimento in Germania era per lei il primo ingresso nel mondo degli adulti (un ingresso che, a suo avviso, doveva compiersi assecondando, come una sorta di imperativo categorico, l’obbligo del lavoro e la necessità della scoperta sessuale). Nella seconda sezione, invece, Ramondino raccoglie le impressioni avute frequentando la Germania negli anni Ottanta, contaminando il racconto con considerazioni di tipo sociologico, culturale e letterario. Ancora una volta, a dare unità al libro è l’alternarsi tra immedesimazione ed estraniazione, con Ramondino intenta soprattutto a interrogarsi sulla propria condizione esistenziale, e in particolare sui labili confini della propria identità linguistica, nazionale e culturale.
Su questioni identitarie Ramondino tornerà in Star di casa, e successivamente in In viaggio e nell’Isola riflessa. In quest’ultimo libro, forse il più ibrido tra le sue opere, si narra di un doppio soggiorno a Ventotene (uno in primavera, poco prima della stagione turistica; l’altro in autunno), nel quale la protagonista narratrice (che presenta evidenti connotati autobiografici), in preda a un momento di forte crisi emotiva, confonde sogni, visioni e realtà, ma non rinuncia a osservare ciò che la circonda, alternando riflessioni sul presente (storico e personale) a considerazioni sulla storia dell’isola, dalla dominazione romana al confino fascista, passando per i piani urbanistici borbonici e l’istituzione del carcere di Santo Stefano. Oltre ad essere specchio dell’emotività della protagonista, l’isola diventa un pretesto per discutere delle sorti dell’Italia e dell’Europa alla vigilia del Nuovo Millennio, soprattutto per la perdita delle sue specificità e per la progressiva uniformazione causata dal turismo. C’è tuttavia una forza che, nel trauma, si oppone alla constatazione della decadenza: si tratta dello spirito di Utopia, un concetto che Ramondino rielabora a partire dalle riflessioni di Ernst Bloch.
Tracce di questo spirito sono presenti anche in alcuni racconti di Il Calore e di Arcangelo, e soprattutto in Passaggio a Trieste. Qui, Ramondino si serve apertamente di alcune tecniche dell’inchiesta sociale già sperimentate in Napoli. I disoccupati organizzati, mostrando esplicitamente che la sua produzione narrativa e quella saggistica sono animate dalla stessa tensione analitica. Una tensione che va intesa come un ostinato interrogarsi sulle cose e sul mondo, senza concedere sconti alle brutture e alle contraddizioni, ma anche senza rinunciare a scorgere speranze e occasioni.
Critica e ricezione
In Italia, le opere di Ramondino hanno suscitato l’ammirazione, tra gli altri, di Leone Piccioni, Filippo La Porta, Giovanni Giudici e Domenico Scarpa. All’estero, sono state tradotte soprattutto in tedesco (Althénopis, Zürich 1986 con una postfazione della germanista e poetessa Lea Ritter Santini; Die Vögel des Narcís, Zürich 1987; «…Da fiel kein Traum herab / … Da fiel mir Leben zu… Zürich 1988; Ein Tag und ein halber, Zürich 1989; Nicht sehr verläßlich zu Haus…, Zürich 1992; Im Spiegel einer Insel, Zürich 1999; Jedes Wesen schreit stumm, Zürich 2002; Blühende Mandelbäume, Zürich 2004; Die Katze und andere Erzählungen, Zürich 2006; La via, Zürich 2010), ma anche in spagnolo (Guerra de infancia y de España, Barcelona 2023) e in francese (Retours, Paris 2019).
La ricezione critica, invece, si è moltiplicata soprattutto dopo la sua morte. A tal proposito, si segnalano i lavori di Beatrice Alfonzetti, che su Ramondino ha scritto saggi importanti e ha curato, insieme a Siriana Sgavicchia, il numero monografico a lei dedicato dalla rivista L’illuminista; di Stefania Lucamonte, che ha studiato diversi aspetti della produzione letteraria ramondiniana, dalle opere teatrali a quelle romanzesche; di Adalgisa Giorgi, autrice di numerosi contributi e curatrice del convegno «Non sto quindi a Napoli sicura di casa». Conference in Memory of Fabrizia Ramondino; e infine di Franco Sepe, che a Ramondino ha dedicato la monografia Fabrizia Ramondino. Rimemorazioni e viaggi del 2010.
Fondazioni e archivi
Nel marzo del 2023, la biblioteca e l’archivio di Ramondino sono stati donati allo ‘Spazio Novecento’, la sezione dedicata agli archivi degli autori contemporanei della Biblioteca Nazionale di Roma.
Opere e edizioni
Napoli. I disoccupati organizzati, Milano, Feltrinelli, 1977. (II ed. Ci dicevano analfabeti. Il movimento dei disoccupati napoletani degli anni ’70, Milano, Argo, 1998).
Althénopis, Torino, Einaudi, 1981 (II ed. Althénopis, prefazione di Silvio Perrella, Torino, Einaudi, 2016; III ed. Althénopis, prefazione di Chiara Valerio, Roma, Fazi, 2023).
Storie di Patio, Torino, Einaudi, 1983.
Taccuino tedesco, Milano, La Tartaruga, 1987 (II ed. Taccuino tedesco. 1954-2001, Milano, Nottetempo, 2010)
Un giorno e mezzo, Torino, Einaudi, 1988.
Star di casa, Milano, Garzanti, 1991.
Dadapolis. Napoli al caleidoscopio, con F. Andreas Müller, Torino, Einaudi, 1992.
Morte di un matematico napoletano, con Mario Martone, Milano, Ubulibri, 1992.
Terremoto con madre e figlia, Genova, Nuovo melangolo, 1994.
In viaggio, Torino, Einaudi, 1995.
L’isola riflessa, Torino, Einaudi, 1998.
L’isola dei bambini, Roma, Edizioni e/o, 1998.
Passaggio a Trieste, Torino, Einaudi, 2000.
Polisario. Un’astronave dimenticata nel deserto, Roma, Gamberetti, 2000.
Guerra di infanzia e di Spagna, Torino, Einaudi, 2001 (II ed. Guerra di infanzia e di Spagna, xxxx, Fazi, 2022)
Bagnoli. Lo smantellamento dell’Italsider, Fotografie di Vera Maone, testi di Rossana Rossanda e Fabrizia Ramondino, Milano, Mazzotta, 2002.
Il libro dei sogni, Napoli, L’Ancora del Mediterraneo, 2002.
Il Calore, Milano, Nottetempo, 2004.
Per un sentiero chiaro, Torino, Einaudi, 2004.
Arcangelo e altri racconti, Torino, Einaudi, 2005.
La via, Torino, Einaudi, 2008.
Villino bifamiliare, Napoli, Marotta & Cafiero, 2022.
Modi per sopravvivere: gli scritti politici, a cura di Mirella Armiero, Roma, Edizioni e/o, 2024.
Bibliografia
Alfonzetti Beatrice, Dalla villa al terremoto. Magia e poesia in Fabrizia Ramondino, in Granteatro. Omaggio a Franca Angelini, a cura di Beatrice Alfonzetti, Daniela Quarta, Mirella Saulini, Roma, Bulzoni, 2002, pp. 119-138.
Alfonzetti Beatrice, Fabrizia Ramondino scrittrice del disagio, in G. Ferroni (a cura di), Il turbamento e la scrittura, Roma, Donzell, 2010.
Alfonzetti Beatrice (a cura di), Dossier: Fabrizia Ramondino, «Il caffè illustrato», 66-67, 2012.
Alfonzetti Beatrice, Sgavicchia Siriana (a cura di), Fabrizia Ramondino, «L’Illuminista», 43-45, 2015.
Alfonzetti Beatrice, Fabrizia Ramondino, in Dizionario biografico degli italiani, vol. 86, Bologna, Treccani, 2016.
Alfonzetti Beatrice, La nascita di una scrittrice: tra Morante e Gadda, «Women, Language, Literature in Italy», 1, 2019, pp. 125-134.
Alfonzetti Beatrice, Il Sessantotto vent’anni dopo: Un giorno e mezzo di Fabrizia Ramondino, in L’imaginaire de Mai 68 dans la littérature contemporaine, «Publiforum», 34, 2020.
Burns Jennifer, Fabrizia Ramondino: The Politics of Identity, in Fragments of Impegno: Interpretations of Commitment in Contemporary Italian Narrative, 1980-2000, Leeds, Northern Universities Press, 2011, pp. 81-98.
Giorgio Adalgisa (a cura di), «Non sto quindi a Napoli sicura di casa». Identità, spazio e testualità in Fabrizia Ramondino, Perugia, Morlacchi, 2013.
Giorgio Adalgisa, A Feminist Family Romance: Mother, Daughter and Femal Genealogy in Fabriza Ramondino’s Althénopis, «The Italianist», 11, 1991, pp. 128-149.
Giorgio Adalgisa, Narrative as Verbal Performance: Énonciation and Énoncé in Gabrizia Ramondino’s La signora di Son Batle, «Italian Studies», 48, 1993, pp. 86-106.
Giorgio Adalgisa, Moving accross Boundary: Identity and Difference in the Works of Fabrizia Ramondino, «The Italianists», 18, 1998, pp. 170-186.
Giorgio Adalgisa, Da Napoli all’Europa al Villaggio globale. Identità, spazio e tempo nell’opera di Fabrizia Ramondino, in Le esperienze e le correnti culturali europee del Novecento in Italia e in Ungheria, a cura di Ilona Fried e Arianna Carta Budapest, Elte Btk, 2003, pp. 227-252.
Lucamante Stefania, Tra romanzo e autobiografia, il caso di Fabrizia Ramondino, «Modern Language Notes», 112/1, 1997, pp. 105-113.
Lucamante Stefania, Le scelte dell’autofiction: il romanzo della memoria contro il potere della Storia, «Studi novecenteschi», 25/26, 1997, pp. 105-113.
Lucamante Stefania., «Non sono una madre come si deve»: Terremoto con madre e figlia di Fabrizia Ramondino, «Itinera», 18, 2019.
Sepe Franco, Fabrizia Ramondino. Rimemorazione e viaggio, Napoli, Liguori, 2010.