Goliarda Sapienza
a cura di Mara Capraro
Goliarda Sapienza (1924-1996) è stata una scrittrice, attrice e «cinematografara» siciliana contemporanea.
«Si muore per lasciare il meglio di sé a quelli che ti hanno saputo leggere»
G. Sapienza, Lettera aperta
Vita e formazione
Goliarda Sapienza nasce a Catania dall’unione tra la sindacalista lombarda Maria Giudice, dirigente del Partito Socialista e prima donna a capo della Camera del Lavoro di Torino, e Giuseppe Sapienza, avvocato penale catanese che prestava difesa alle fasce più povere della società. L’iniziale sodalizio politico tra i due noti esponenti dell’ala socialista dà vita a una famiglia numerosa (Maria aveva già sette figli e Giuseppe altri tre da precedenti relazioni) ed anti-convenzionale. Dal momento che i genitori erano impegnati in una strenua propaganda pacifista ed antifascista che costerà loro diverse incarcerazioni, l’ultimogenita Goliarda cresce soprattutto con i fratelli che le impartiscono un’educazione liberale e anarchica, nonché una visione fluida dei ruoli di genere. Goliarda Sapienza ricorda, nei suoi taccuini, la sensazione di essere come un’«acrobata» che salta continuamente tra le due «isole» della sua infanzia: la Sicilia con la sua cultura retrograda e normativa e, d’altra parte, l’ambiente progressista della sua famiglia. I principi anticonformisti della famiglia Giudice-Sapienza spingeranno i genitori a ritirare Goliarda dalla scuola pubblica, bruciando – in simbolo di protesta contro il potere fascista – la divisa scolastica. Sapienza cresce dunque formandosi come autodidatta, esplorando in lungo e in largo la sua «casbah di lava», il cui cuore era costituito dal quartiere di San Berillo, e recandosi sovente al cinema Mirone o dal “puparo”, colui che produce i burattini tipici del teatro siciliano.
Incitata dal padre ad intraprendere la carriera attoriale, nel 1941, Goliarda Sapienza si trasferisce a Roma per frequentare l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica Silvio D’Amico, che dovrà in seguito interrompere a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. In quel periodo, le viene offerta accoglienza in un convento di suore francesi ma, durante la Resistenza, si impegna in prima linea come partigiana nella brigata Garibaldi con lo pseudonimo Ester Caggegi. Nel frattempo, il nome di Goliarda Sapienza iniziava a essere conosciuto nell’ambiente teatrale grazie alla celebre interpretazione del ruolo di Dina nella commedia pirandelliana Così è (se vi pare), che segna l’esordio della sua attività di attrice e, successivamente, di «cinematografara». Quest’ultima espressione, coniata da Sapienza stessa, indica una serie di mansioni – doppiaggio, interpretazione, aiuto alla regia – che Sapienza inizia a svolgere al fianco del suo compagno, il regista italiano Francesco Maselli, incontrato nel 1947, con cui trascorrerà circa un ventennio della sua vita. Molteplici sono i film e i documentari di Maselli che recano l’impronta dell’autrice siciliana. Dopo la fine del conflitto, Goliarda non riprende più gli studi e fonda, insieme a Silverio Blasi e Mario Landi, la compagnia di teatro d’avanguardia «T45». Nel 1951, l’interpretazione del ruolo di Ersilia Drei in Vestire gli ignudi accresce maggiormente il suo successo al teatro, ma la morte della madre nel 1953 e una lunga depressione che ne seguì marcarono l’inizio di un graduale allontanamento dall’universo della scena. La rottura definitiva con il teatro e l’inizio di quello che lei stessa definisce il «lavoro-arte-mestiere» della scrittura prendono avvio tra la fine degli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60. Nel maggio del 1962, una nuova depressione la conduce a un tentativo di suicidio che le costa l’internamento e la costringe a sottoporsi agli elettroshock e, grazie all’intervento del dottor Ignazio Majore, alla terapia psicanalitica.
Dopo aver pubblicato due opere autobiografiche frutto del profondo scavo memoriale che stava intraprendendo in quel periodo, tra il 1969 e il 1976, Goliarda si dedica interamente alla scrittura intensa e solitaria dell’Arte della gioia, capolavoro che verrà riscoperto postumo. Il romanzo è rifiutato da numerosi editori italiani perché mette in scena l’“oscena” e a-morale parabola di Modesta, un’eroina spregiudicata e pronta a qualsiasi tipo di azione pur di far valere il suo diritto alla gioia. La profonda delusione legata alla non pubblicazione del libro e lo stato di indigenza in cui si era ridotta, con il rischio di uno sfratto dal suo appartamento nel quartiere romano dei Paioli, apriranno uno dei capitoli più eccentrici della sua movimentata biografia: il 4 ottobre 1980, Sapienza viene arrestata per aver rubato dei gioielli a un’amica sotto falsa identità – quella della cognata Modesta Maselli, che porta lo stesso nome del suo personaggio allora inedito – e viene condotta qualche giorno nel carcere femminile romano di Rebibbia. Una colletta organizzata da alcuni amici le permette di saldare i debiti, di continuare a vivere nel suo attico di via Denza che condivide ormai con il nuovo compagno Angelo Maria Pellegrino e, infine, di consacrarsi nuovamente alla scrittura. L’esperienza carceraria, che aveva suscitato un vero e proprio scandalo mediatico, le consente tuttavia di pubblicare due nuovi libri per narrare i giorni trascorsi in carcere e le difficoltà del reinserimento sociale dopo la prigione. In questi anni, Sapienza collabora anche sporadicamente con qualche testata giornalistica e prova a entrare in politica candidandosi per la Camera dei deputati nelle liste del PSI nel 1983.
Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, sentendosi oppressa dal contesto urbano romano, intensifica i suoi soggiorni tra Gaeta e la costa amalfitana. Il retaggio del mestiere attoriale e della successiva produzione cinematografica permea tutta l’opera letteraria e attraversa tutta l’esistenza della scrittrice: a causa del fallimento del tentativo di trovare uno spazio all’interno del panorama letterario e intellettuale dell’epoca, Goliarda Sapienza riprende la carriera d’attrice nel 1987. Lo considererà tuttavia come un lavoro «per il pane» e continuerà, fino alla sua morte, a scrivere numerose altre opere. Il 30 agosto 1996, Goliarda Sapienza viene trovata morta nelle scale della sua casa a Gaeta. La sua morte segnerà l’avvio della sua lenta e potente “ri-nascita” come scrittrice negli anni a venire.
Attività letteraria
Benché l’«atto di nascita letteraria» di Goliarda Sapienza, come lo definisce Angelo Pellegrino, sia fatto risalire alla scrittura poetica alla fine degli anni ’50, solo quattro opere sono state pubblicate in vita dalla scrittrice. Sapienza ha voluto riunire la sua opera omnia all’interno di un programma poetico ben definito che nei suoi taccuini – prendendo le distanze dalla vocazione agiografica di molti progetti autobiografici – chiama «L’autobiografia delle contraddizioni». Ogni opera di Goliarda Sapienza rappresenta il tassello di un mosaico ambivalente, di una vita in continua evoluzione, il cui flusso non può bloccarsi in un’istantanea fissa e immutabile. Nonostante ciò, le quattro autobiografie scritte e pubblicate in vita potrebbero suddividersi in due momenti esistenziali diversi, che hanno dato vita a fasi scrittorie ben distinte. Da un lato, Lettera aperta (1967) e Il filo di mezzogiorno (1969), che possiedono un forte taglio intimistico, introspettivo e memoriale, in quanto tentativo di dissotterrare il proprio passato e attribuire a quest’ultimo un nuovo significato. D’altra parte, abbiamo le due narrazioni sull’esperienza carceraria (L’università di Rebibbia del 1983) e sulle difficoltà della vita dopo il carcere (Le certezze del dubbio, 1987), in cui la scrittura possiede un’impronta più marcatamente militante in quanto motivata da un forte slancio testimoniale: l’io della narratrice si apre dunque al dialogo con altre voci e lascia emergere il contesto storico-sociale in cui è immerso. Il romanzo L’arte della gioia, che secondo Rizzarelli è un libro «di (tras)formazione e di liberazione», è un’opera autofinzionale che svolge un’importante funzione di transizione verso questa seconda fase scrittoria più impegnata.
Luoghi di produzione e relazioni intellettuali
L’epistolario dell’autrice consente di mettere a fuoco le relazioni da lei intessute e di sottrarla alla posizione marginale e isolata che le è stata a lungo indebitamente attribuita. Se Goliarda Sapienza respinge fermamente tutti gli “-ismi” del Novecento e cerca di tenersi alla larga da una partecipazione dogmatica ai vari gruppi letterari e militanti della sua epoca, diverse figure intellettuali ebbero un ruolo importante nella sua formazione artistica e nella maturazione di una coscienza politica, soprattutto a partire dagli anni ’80. Da un lato, è necessario mettere in rilievo l’importanza che alcune amicizie con noti scrittori dell’epoca (da Enzo Siciliano ad Attilio Bertolucci) ebbero nel corso della carriera della scrittrice. Non bisogna dimenticare che, insieme al compagno Francesco Maselli, Sapienza ha frequentato assiduamente i circoli intellettuali romani di sinistra da cui si distaccò negli anni ’70, quando iniziò la propria fase di isolamento dovuta all’urgenza di dar vita al personaggio di Modesta. La giornalista e scrittrice Adele Cambria sarà un’interlocutrice fondamentale durante la scrittura dell’Arte della gioia e tenterà una tenace, seppur vana, promozione del manoscritto allora inedito.
Dopo l’esperienza carceraria, Sapienza si avvicinerà inoltre ai gruppi femministi – in particolare quelli che gravitavano intorno alle due riviste Quotidiano donna e Minerva – senza mai aderirne totalmente. Alla fine degli anni ’80, prende parte anche a un “gruppo di scrittura” insieme ad altre intellettuali ed artiste italiane, tra cui Adele Cambria, Simona Weller, Clara Sereni e Maria Rosa Cutrufelli. Una scrittrice che Sapienza stimò molto e con cui intrattenne uno scambio epistolare rivelatore dell’interesse dell’autrice per il panorama letterario italiano coevo è Luce d’Eramo.
Poetica e pensiero
Il pensiero della scrittrice è pervaso da un «sincretismo ideologico», come lo definisce Alberica Bazzoni, alimentato da un’intensa pulsione vitale di matrice epicurea che vede nel raggiungimento della felicità il suo fine ultimo. Si può parlare di un’etica e di un approccio esistenziale di tipo anarchico che accomuna tutti i personaggi dell’opera di Sapienza e che si manifesta in una marcata tendenza anti-autoritaria e anti-patriarcale, nonché nel vigoroso tentativo di decostruire le griglie di pensiero e di linguaggio che intrappolano gli esseri umani all’interno del tessuto sociale. L’uso di una prospettiva prettamente fenomenologica pone inoltre al centro dell’attenzione la consistenza della corporeità e la centralità del dato esperienziale. È in questo contesto che si inscrive emblematicamente l’iter della protagonista dell’Arte della gioia, Modesta, che rifiuta qualsiasi tipo di categorizzazione, sia essa politica o di genere, che ostacoli il suo diritto ad una gioia laica e carnale, ottenuta nel romanzo mediante un graduale processo di affrancamento sociale. Il percorso di Modesta viene difatti fatto risalire dalla critica a una tradizione filosofica laica e libertina che – congiuntamente a letture illuministe, socialiste e anticlericali – costituisce l’impalcatura gnoseologica del testo.
Nelle opere autobiografiche, emerge inoltre il ruolo della “memoria”, sia essa un mezzo di ricostruzione introspettiva come in Lettera aperta o uno strumento etico di denuncia come nell’Università di Rebibbia. Anche in questi libri, il corpo è il campo di tensione privilegiato tra il desiderio individuale e la norma sociale. L’io narrante è portatore di un malessere che misura lo scarto rispetto alla società normativa e mette in rilievo, al contempo, la coscienza della natura performativa che sottende qualsiasi costruzione sociale e dinamica relazionale al suo interno. Riprendendo il pensiero dello stimato conterraneo Luigi Pirandello, Sapienza mette in scena degli esseri umani consapevoli di indossare delle «maschere» e che cercano di strappare le maglie della rete sociale che li tiene ingabbiati. Lo stigma stesso della malattia nel Filo di mezzogiorno è una maschera che si plasma attraverso lo sguardo altrui.
La libertà è dunque un concetto cardine per Goliarda Sapienza, tanto nel suo percorso biografico e creativo, quanto come punto terminale della quête soggiacente a tutte le sue opere. Si tratta tuttavia di una libertà intesa come «libertà d’essere», autenticità nell’essere se stessi e nel relazionarsi all’altro. Risulta paradossale, in effetti, che questa libertà prenda vita sovente in spazi che incarnano la sua negazione, spazi chiusi e claustrofobici, di cui è paradigmatica la prigione di Rebibbia negli ultimi due romanzi. Il carcere è, per la scrittrice, il luogo per eccellenza in cui vengono abbattuti tutti gli artifici propri della sfera sociale e in cui l’essere umano si ritrova ad avere un contatto più diretto con se stesso. La relazionalità ha una funzione cruciale in questa riscoperta di una libertà smisurata al di fuori della società, in quanto lo specchio dell’altro è essenziale: l’altro, ancor di più l’altra, rappresenta l’unico testimone di noi stessi e della nostra magmatica evoluzione. Nelle opere scritte tardivamente, Le certezze del dubbio e Appuntamento a Positano, ritroviamo proprio l’essenzialità della figura del doppio, un secondo personaggio femminile che svolge una funzione testuale indispensabile.
In una prospettiva di genere, inserire il pensiero di Sapienza all’interno di un filone risulta spinoso e fallace, nonostante la scrittrice stessa evidenzi l’importanza dell’eredità del femminismo socialista della madre Maria Giudice e di altre figure di spicco, come Angelica Balabanoff. Altre letture fondamentali, menzionate nella produzione letteraria e diaristica della scrittrice, sono Virginia Woolf e Simone de Beauvoir. Per certi versi, il pensiero della scrittrice è precursore di correnti che si svilupperanno diversi decenni dopo, ma le differenze sensibili tra varie dichiarazioni e opere dell’autrice riflettono una visione caleidoscopica complessa, impossibile da ascrivere ad un movimento in particolare. In linea di massima, osserviamo tuttavia un tentativo di smascherare la rigidità dei ruoli e di scardinare l’ipostatizzazione dei generi maschile e femminile, che non sfocia tuttavia in un annullamento definitivo delle differenze sessuali. Nella produzione carceraria, del resto, Sapienza porta avanti un’originale rivalutazione del secolare statuto di sottomissione delle donne come risorsa e catalizzatore di un’unione tra donne indispensabile per mantenere la differenza.
Critica e ricezione
Il 21 ottobre 1976, Goliarda Sapienza termina L’arte della gioia nella sua casa di Gaeta e, nell’ultima pagina del manoscritto, annota: «Oggi Goliarda muore e Modesta inizia a vivere». La ricostruzione della ricezione della scrittrice siciliana non può esulare dalle tumultuose vicende editoriali del suo «romanzo-fiume», in cui la storia italiana del 1900 si intreccia alla vita di una donna alla ricerca dell’autonomia e della felicità. Il libro fu rifiutato da diversi editori italiani, considerato troppo «sperimentale» da alcune case editrici e troppo lungo e «tradizionalista» da altre. La disperazione spingerà Sapienza a rivolgersi all’allora Presidente della Repubblica Sandro Pertini, supplicandolo di aiutarla nella sua «battaglia» contro questa «nuova forma di fascismo» che è il mercato editoriale italiano della fine del secolo scorso. La prima parte del romanzo vede la luce nel 1994 per Stampa Alternativa, che pubblicherà anche la versione integrale due anni dopo la morte della scrittrice. Tuttavia, sarà solo nel 2005, grazie all’entusiasmo della traduttrice francese Nathalie Castagné e alla sfida lanciata da Viviane Hamy, direttrice della casa editrice omonima, che L’Art de la joie di Goliarda Sapienza verrà riconosciuto in quanto chef-d’œuvre immortale e che l’autrice vivrà una vera e propria ri-nascita letteraria. Il successo dell’opera oltralpe sarà anche propulsore della riscoperta italiana della figura e dell’opera di Sapienza, di cui una buona parte verrà riesumata e pubblicata postuma: un corpus ingente che va dalla scrittura privata di lettere e taccuini alla produzione poetica, novellistica, autobiografica e romanzesca. Dopo l’edizione dell’Arte della gioia per Einaudi nel 2008, oltre alla ristampa delle quattro autobiografie pubblicate in vita, vengono stampati: la raccolta di novelle Destino coatto (2011, prima edizione del 2002), i diari (in due volumi del 2011 e del 2013, oggi riuniti in un’unica raccolta dal titolo Scrittura dell’anima nuda, 2022), la silloge di poesie Ancestrale (2013), gli scritti teatrali e cinematografici (Tre pièces e soggetti cinematografici, 2014), il breve testo in prosa Elogio del bar (2014), le autobiografie Io, Jean Gabin (2010) e Appuntamento a Positano (2015), l’epistolario (Lettere e biglietti, 2021). Nell’archivio privato Sapienza-Pellegrino, si trovano ancora alcuni manoscritti inediti che saranno probabilmente oggetto di pubblicazioni future. È necessario menzionare l’importanza del lavoro di ricostruzione biografico svolto da Giovanna Providenti, autrice di La porta aperta. Vita di Goliarda Sapienza, che aprirà la strada a una proliferazione di studi accademici, così come ad un repertorio sempre più abbondante di libri a carattere più divulgativo, spettacoli e adattamenti teatrali e cinematografici sull’autrice catanese.
La critica riconosce oggi a Goliarda Sapienza un ruolo preminente nel paesaggio letterario italiano del Novecento e considera il suo accidentato percorso di riabilitazione postuma emblematico degli impedimenti culturali e morali imposti alle donne autrici nel corso dei secoli.
Opere e edizioni
Lettera aperta, Milano, Garzanti, 1967.
Il filo di mezzogiorno, Milano, Garzanti, 1969.
L’università di Rebibbia, Milano, Rizzoli, 1983.
Le certezze del dubbio, Roma, Pellicanolibri, 1987.
L’arte della gioia (cap. 1-39), Roma, Stampa Alternativa, 1994.
L’arte della gioia, Torino, Einaudi, 2008.
Destino coatto, Roma, Empirìa, 2002.
Io, Jean Gabin, Torino, Einaudi, 2010.
Il vizio di parlare a me stessa. Taccuini (1976-1989), a cura di A. Pellegrino e G. Rispoli, Torino, Einaudi, 2011.
Siciliane, Catania, Il Girasole Edizioni, 2012.
La mia parte di gioia. Taccuini (1989-1992), a cura di A. Pellegrino e G. Rispoli, Torino, Einaudi, 2013.
Ancestrale, Milano, La Vita Felice, 2013.
Tre pièces e soggetti cinematografici, Milano, La Vita Felice, 2014.
Elogio del bar, Roma, Elliot Edizioni, 2014.
Appuntamento a Positano, Torino, Einaudi, 2015.
Lettere e biglietti, a cura di A. Pellegrino, Milano, La Nave di Teseo 2021.
Bibliografia
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Bazzoni Alberica, Scrivere la libertà. Corpo, identità e potere in Goliarda Sapienza, Pisa, ETS, 2021.
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Castagné Nathalie, Vie, morts et renaissances de Goliarda Sapienza, Paris, Seuil, 2024.
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Farnetti Monica, (a cura di), Appassionata Sapienza, Milan, La Tartaruga, 2011.
Ferro Laura, Contro la donna ‘intelligente come un uomo’. Il femminismo di Goliarda Sapienza, in Femminismo e femminismi nella letteratura italiana dall’Ottocento al XXI secolo, a cura di Sandra Parmegiani e Michela Prevedello, Firenze, Società Editrice Fiorentina, 2019, pp. 209-226.
Imberty Claude, Gender e generi letterari: il caso di Goliarda Sapienza, «Narrativa», n. 30, 2008, pp. 51-61.
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Pellegrino Angelo, Ritratto di Goliarda Sapienza, Milano, La Vita Felice, 2019.
Id., Goliarda, Torino, Einaudi, 2022.
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Rizzarelli Maria, Goliarda Sapienza. Gli spazi della libertà, il tempo della gioia, Roma, Carocci, 2018.
Rizzarelli Maria, «Un presentimento di “quasi libertà”. Rebibbia secondo Goliarda Sapienza», in Spazi chiusi. Prigioni, manicomi, confinamenti, a cura di Marina Guglielmi e Francesco Fiorentino, «Between», vol. XI, n. 22, novembre 2021, pp. 171-190.
Rizzarelli Maria, (a cura di), SAPIENZA A Z, Milano, Electa, 2024.
Scarfone Gloria, Goliarda Sapienza. Un’autrice ai margini del sistema letterario, Massa, Transeuropa, 2018.
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Trevisan Alessandra, Goliarda Sapienza, una voce intertestuale (1996-2016), Milano, La Vita Felice, 2016.
Trevisan Alessandra, ‘fermare la fantasia’. Leggere L’Università di Rebibbia di Goliarda Sapienza attraverso lettere e documenti inediti, DIACRITICA, IV, 25 dicembre 2018.
Tripodi Silvia, In miseria per amore della letteratura. Tra le carte e i libri di Goliarda Sapienza, «Rossocorpolingua», A. IV, n. 1, marzo 2021.