Laura Terracina

a cura di Valeria Puccini

Laura Terracina (1519-1577?) è stata una poetessa italiana del Rinascimento.

«Va’ mondo sciocco, ch’io di certo spero,
che ’l mio bel lauro, che sovente infiora,
sia sempre verde e di sua gloria altero»

L. Terracina, Le seste rime

Vita e formazione
Sulla vita di Laura Terracina abbiamo davvero poche e scarne notizie, per lo più ricavabili da alcuni storici locali e, in gran parte, dalle sue stesse liriche. Le notizie più complete sulla famiglia le fornisce Erasmo Ricca nel suo La nobiltà delle due Sicilie, in cui è menzionato Eliseo Terracina, nonno della poetessa, il quale si sposò con la nobile Bastarella Folliero generando con lei otto figli tra cui Paolo, figlio primogenito e padre della poetessa. Consolidato il patrimonio familiare, Paolo acquistò una villa e dei terreni a Chiaia e si sposò con la nobile Diana Anfora, dalla quale ebbe quattro figli: Giacomo, Mariano, Laura ed Eleonora.

Il fratello primogenito di Laura Terracina, Giacomo, fu Giustiziero della Città di Napoli ed ereditò la villa paterna a Chiaia, dove la poetessa trascorse tutta la vita. Il fratello Mariano, in quanto figlio cadetto, abbracciò la carriera ecclesiastica e divenne Abate del Monastero di San Vito del Pizzo di Taranto e, successivamente, Abate di Santa Maria dei Meschini in Napoli. La sorella minore, Eleonora o Dianora, fu anch’essa poetessa e sposò Lucio Piscicelli, appartenente a un’illustre famiglia di patrizi napoletani iscritti nel Seggio di Capuana.

Domenico Terracina, zio paterno di Laura, ricoprì l’incarico di Eletto del Popolo per ben tre volte, nel 1530, nel 1533 e nuovamente nel 1546, quando fu rieletto per acclamazione soltanto grazie alle manovre del Viceré Pietro di Toledo, che sapeva di poter contare sul suo appoggio incondizionato al progetto di introdurre in Napoli l’Inquisizione al modo spagnolo. La famiglia Terracina, dunque, era legata a doppio filo al Toledo, che Laura difenderà sempre nei suoi versi, accusando la città di Napoli di ingratitudine nei confronti di chi l’aveva rifondata ed ammodernata, abbellendola con nuovi e meravigliosi monumenti e rendendola famosa nel mondo.

Laura nacque nel 1519 a Napoli: la data di nascita si ricava da un componimento inserito nelle Seste rime, dove afferma di avere trentadue anni nel 1551. Non ricevette un’educazione classica completa, cosa di cui si lamenta spesso nei suoi versi, ma comunque sufficiente a consentirle di prendere parte attiva alla brillante vita sociale e culturale della Napoli del suo tempo, accendendo in lei il desiderio di coltivare le proprie aspirazioni letterarie. Dalle sue composizioni traspare una buona conoscenza delle opere in volgare di autori come Dante e Petrarca, già considerati dei classici all’epoca, nonché dei grandi autori napoletani del secolo precedente come Pietro Iacopo de Jennaro e Iacopo Sannazaro; abbondano anche i riferimenti a scrittori a lei contemporanei che sembra conoscere bene e di cui, evidentemente, aveva letto le opere, come Luigi Tansillo, Bernardo Tasso e Vittoria Colonna. Numerosissimi i riferimenti e, in alcuni casi, i veri e propri calchi da Ludovico Ariosto, poeta che la appassionava al punto da inserire nelle sue opere dei Lamenti che hanno per protagonisti alcuni personaggi dell’Orlando furioso (Rodomonte, Sacripante, Bradamante e Isabella), con tramutazioni delle ottave del poema; passione che la porterà poi a comporre e a pubblicare, tra l’altro con enorme successo, un Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando furioso, singolare riscrittura del poema ariostesco. Ma la passione della poetessa per l’epica è abbondantemente attestata dalle numerose citazioni presenti nelle sue liriche tratte da opere di Boiardo, Trissino, Dell’Anguillara e Giraldi Cinzio, tra gli altri.

Si sposò intorno ai quarant’anni con un lontano parente, Polidoro Terracina, personaggio su cui tuttavia non sappiamo altro se non quello che lei stessa ci riporta nei suoi versi. A giudicare dalle tante liriche in cui si lamenta della pesante gelosia del marito, probabilmente non si trattò di un matrimonio molto felice. Perché poi si sia sposata in un’età così avanzata, soprattutto considerando che all’epoca il destino matrimoniale delle donne era deciso dai loro padri sin dalla prima giovinezza, non è dato saperlo. La poetessa era senza dubbio una bella donna, i ritratti che ci sono rimasti di lei e le parole di lode dei contemporanei ce la fanno immaginare avvenente e formosa. Alcuni studiosi hanno ipotizzato che ella, giunta quasi alle soglie della vecchiaia, si sia spaventata al pensiero di affrontare in solitudine i tanti problemi legati a questa età; un’altra ipotesi, forse più realistica, è che non avesse ricevuto dal padre una dote sufficiente a consentirle un matrimonio adeguato al suo status sociale o, forse, alle sue aspirazioni personali e che si sia risolta a legarsi a questo lontano cugino soltanto quando ormai aveva perso le speranze di contrarre altre nozze per lei più desiderabili.

Non conosciamo la data esatta di morte della poetessa ma il Codice Palatino 229, che reca la sua firma autografa ed è datato da Chiaia il 30 novembre 1577, è l’ultima testimonianza letteraria in nostro possesso che ci attesti la sua esistenza: la mano incerta, le cancellature e i frequenti e vistosi errori presenti nelle poche pagine vergate di suo pugno sono quasi certamente dovuti all’età dell’autrice, che all’epoca della redazione del manoscritto aveva cinquantotto anni e forse qualche problema di vista o di salute.

Attività letteraria
Laura Terracina esordisce nel mondo letterario all’età di ventinove anni con le Rime de la Signora Laura Terracina, stampate a Venezia nel 1548 con il prestigioso editore Gabriele Giolito de’ Ferrari. Pubblicherà altri sette libri di poesie, senza contare il manoscritto rimasto inedito delle None rime, conservate nel Codice Palatino 229 presso la Biblioteca Nazionale di Firenze, una raccolta di liriche che non possiede una struttura narrativa ben definita né, tantomeno, può essere considerata un canzoniere sul modello dei Rerum vulgarium fragmenta. Probabilmente, l’intento di Terracina fu quello di allestire un manoscritto che costituisse una sorta di summa della sua arte poetica, inserendovi liriche già note ma da lei rimaneggiate insieme ad altre inedite, ottenendo, tuttavia, un insieme confuso e poco organico che ci porta a pensare che la poetessa non ebbe, probabilmente, il tempo di rivedere queste carte e di dare loro una veste definitiva da consegnare all’editore.

Luoghi di produzione e relazioni intellettuali
La poetessa visse tutta la vita a Napoli: lì scrisse le sue opere, che conobbero larga diffusione, e riuscì addirittura a penetrare nella realtà, quasi tutta al maschile, delle accademie umanistiche, ammessa col nome d’arte di Febea in quella napoletana degli Incogniti. L’analisi delle sue opere ha consentito di scoprire come la sua corrispondenza poetica non fosse limitata ai colleghi del Viceregno ma si estendesse ben oltre i confini dell’Italia del tempo, rivelando una fitta ed ampia rete di contatti che si diramava in molte direzioni (Roma, Venezia, la Toscana, la Spagna). L’immensa produzione di Terracina non poteva, d’altronde, rimanere senza eco nella penisola spagnola, le cui biblioteche custodiscono ancora oggi alcuni dei suoi libri di rime; inoltre, la biblioteca personale di Juan Fernández de Velasco y Tovar, V Duca di Frías, nobile castigliano che fu al servizio dei re spagnoli Filippo II e Filippo III, conteneva anche un’edizione del Discorso sopra il principio di tutti i canti d’Orlando Furioso, a testimonianza della diffusione dell’opera di questa poetessa in Spagna.

Poetica e pensiero
Per quanto riguarda le tematiche, il nucleo più consistente di liriche è costituito da versi encomiastici in lode di virtù poetiche, religiose o militari, o di ringraziamento per il sostegno ricevuto da amici e da potenti patroni. L’analisi dei destinatari delle tantissime poesie encomiastiche, peraltro, ci ha svelato la fitta rete di rapporti sociali e letterari che ella intratteneva e come fosse felicemente inserita nella migliore società di Napoli e del Viceregno spagnolo. Tuttavia, proprio l’abbondanza di rime di questo genere ha spinto la maggior parte dei critici moderni a esprimere giudizi molto severi sulla sua arte poetica. Non bisogna però dimenticare che ai suoi tempi la poesia encomiastica aveva già una lunga tradizione in ambito napoletano: Marco Santagata ha evidenziato la copiosa inserzione di sezioni politiche ed encomiastiche all’interno delle raccolte poetiche napoletane della seconda metà del Quattrocento e non stiamo parlando, in questo caso, di poesia meramente encomiastica, ma di autori di spessore come Cariteo, Iacopo Sannazaro o Pietro Jacopo De Jennaro i quali, nelle loro opere, seppero esprimere un progetto politico e una visione ideale dello stato e del buon governo da offrire ai potenti del loro tempo. In ambito encomiastico, il precursore illustre di Laura Terracina è certamente Antonio Tebaldi detto il Tebaldeo, le cui opere ella ben conosceva ed a cui attingeva a piene mani, ad ulteriore testimonianza della persistenza in Napoli, in pieno Cinquecento, di un petrarchismo di matrice prebembesca.

Un altro gruppo di liriche rientra nell’ambito della poesia religiosa, un genere che godette di grande popolarità tra le scrittrici del XVI secolo soprattutto grazie all’opera di Vittoria Colonna, ma anche a poetesse come Laura Battiferri e Chiara Matraini. L’impressione che si ricava dall’analisi dei testi religiosi è che la loro autrice abbia vissuto e avvertito sinceramente le profonde esigenze di rinnovamento morale e spirituale tipiche del messaggio valdesiano (Juan de Valdés si era trasferito a Napoli nel 1534 raccogliendo ben presto intorno a sé molti nobili, intellettuali ed uomini di chiesa), pur cogliendo appieno l’invito ad un prudente atteggiamento nicodemita nel palesare all’esterno le proprie convinzioni religiose.

Una parte consistente della sua produzione è costituita dalle cosiddette «rime lugubri», un genere di gran moda nel Cinquecento, dedicate sia a uomini e donne di potere, come l’imperatore Carlo V ed i componenti della sua famiglia, sia ai protagonisti della scena politica napoletana nonché a molti dei suoi colleghi scrittori. Si tratta, ovviamente, di omaggi cortigiani obbligati, ai quali nessuno scrittore poteva sottrarsi se voleva assicurare alle sue opere fortuna e libera circolazione nelle corti europee e della penisola italiana. Al genere epicedico-consolatorio appartengono invece le rime della raccolta interamente destinata a vedove napoletane, ovvero le Settime rime.

Vi sono, poi, sono i cosiddetti sonetti di “proposta e risposta”, tipici della lirica cinquecentesca, che vedeva i letterati dialogare intellettualmente scambiandosi versi in lode delle reciproche virtù poetiche. Il codice lirico fondato sul modello petrarchesco assume, infatti, in quegli anni la funzione di modello di socializzazione, di scambio intellettuale tra poeti che si invitano l’un l’altro a comporre versi sui più disparati argomenti, in un flusso continuo di interazione e reciprocità che, senza chiudersi più nel ristretto ambito di una corte e grazie anche al nuovo strumento tecnico della stampa, si apre alla comunicazione di massa. Le scrittrici, in particolare, si servono del linguaggio poetico del petrarchismo per partecipare attivamente e su un piano di parità alla raffinata vita sociale e culturale del loro tempo.

Caratteristiche di Laura Terracina sono, invece, le liriche ad istantia scritte dalla poetessa su commissione, ovvero rime d’amore o di omaggio cortigiano composte su richiesta di amici, parenti o sodali. Non si possono non menzionare, a tal proposito, le tante poesie scritte per colui che diventerà il suo futuro marito, Polidoro Terracina, il quale evidentemente, a quel tempo, corteggiava altre donne: soltanto le Seste rime ne contengono ben ventitré e sono tutte liriche d’amore in cui la poetessa immagina di parlare da un punto di vista maschile, calandosi completamente nella parte dell’uomo innamorato o tradito, a seconda dei casi.

Critica e ricezione
Oltre alle numerose ristampe prodotte in vita dell’autrice che attestano la sua incredibile fortuna editoriale, molte sue composizioni apparvero anche nelle antologie poetiche di autori vari che ebbero grande diffusione nel Cinquecento. Attestazioni di stima per la nostra poetessa furono espresse da poeti a lei contemporanei come Luigi Tansillo e, naturalmente, dai suoi sodali dell’Accademia degli Incogniti: i loro versi sono una preziosa testimonianza della considerazione di cui Terracina godeva negli ambienti letterari della sua città.

Passando al secolo successivo, nel 1620 F. Della Chiesa menziona Laura nel suo Theatro delle donne letterate, ricordandola come una grande poetessa. Sempre agli inizi del XVII secolo ritroviamo Laura tra le protagoniste del Il Maritaggio delle Muse, bizzarra opera di Giovan Giacomo Ricci, accanto a poetesse del calibro di Vittoria Colonna, Veronica Gambara e Margherita Sarrocchi. Si tratta di una testimonianza significativa perché ci attesta che, quasi cinquant’anni dopo la sua morte, la fama della poetessa era ancora viva. Nel 1678 Nicolò Toppi la cita brevemente nella sua Biblioteca napoletana. Infine, la poetessa è menzionata tra le donne letterate ricordate da Giovanbattista Valentino nel suo poema in ottave La cecala napolitana.

Nel XVIII secolo ritroviamo il suo nome nelle storie letterarie, come quelle di F. S. Quadrio, G. B. Tafuri, G. M. Crescimbeni e L. Bergalli, con giudizi non sempre lusinghieri ma, nel complesso, benevoli.

Laura Terracina sarà riscoperta nell’Ottocento, quando alcune delle sue liriche (ma con degli errori di attribuzione) verranno proposte ai giovani italiani in funzione pedagogico-patriottica. Dal Novecento in poi, la sua produzione poetica sarà assai poco considerata, anche in virtù del giudizio fortemente negativo espresso su di lei da Benedetto Croce nel suo Storie e leggende napoletane del 1919. Non bisogna dimenticare, tuttavia, che il concetto di poesia è completamente cambiato nel corso dei secoli, soprattutto se pensiamo ai versi di corrispondenza o a quelli encomiastici, frutto di un colloquio culturale tra persone che condividevano la medesima lingua poetica: indubbiamente, sono testi che forse non riescono molto graditi al nostro palato moderno, ma che hanno il merito di farci conoscere e apprezzare il contesto culturale in cui Terracina visse e compose le sue poesie, un contesto fatto di rapporti di amicizia e di patronato, ma anche di semplici conoscenze, che talvolta restavano soltanto epistolari, nate proprio grazie a questo scambio di liriche tra intellettuali provenienti da ceti sociali spesso diversi e con diversi livelli di istruzione, ma tutti accomunati nel segno del petrarchismo. Dalle opere di questa poetessa traspare l’orgogliosa coscienza delle sue capacità letterarie e del riconoscimento sociale a lei tributato e, qualunque sia oggi il nostro giudizio sulla sua vasta produzione poetica, è indubbio che, proprio grazie alla sua arte, ella riuscì a conquistarsi fama e pieno diritto di residenza nel mondo, ormai non più solo maschile, della lirica petrarchista del Cinquecento.

Opere e edizioni
Rime de la Signora Laura Terracina, in Venezia per G. Giolito de’ Ferrari, 1548.
Rime seconde de la Signora Laura Terracina di Napoli. Et di diversi a lei, in Firenze per L. Torrentino, 1549.
Discorso sopra tutti li primi canti d’Orlando Furioso fatti per la signora Laura Terracina, in Venezia per G. Giolito de’ Ferrari, 1549.
Quarte Rime de la Signora Laura Terracina. Detta Phebea ne l’Accademia de gl’Incogniti, in Venezia per G. A. Valvassori, 1550.
Quinte Rime de la Signora Laura Terracina detta Phebea ne l’Accademia de gl’Incogniti, in Venezia per G. A. Valvassori, 1552.
Le Seste Rime della Signora Laura Terracina di Napoli. Nuovamente stampate, in Lucca per V. Busdraghi, 1558.
Settime Rime sovra tutte le donne vedove di questa nostra città di Napoli titolate e non titolate fatte per la segnora Laura Terracina, in Napoli per M. Cancer, 1561.
La seconda parte de’ discorsi sopra le seconde stanze de’ canti d’Orlando furioso della S. Laura Terracina, detta nell’Academia degl’Incogniti Febea. Nuovamente mandati in luce con privilegio, in Venezia per G. A. Valvassori detto Guadagnino, 1567.
Discorsi sopra le prime stanze de’ canti d’Orlando Furioso, a cura di Routrad von Kulessa e Daria Perocco, Firenze, Cesati, 2017.Laura Terracina. None rime, a cura di Valeria Puccini, Napoli, Loffredo, 2021.

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Autrice Terracina Laura
Secolo XVI
Genere letterario Poesia
Testi digitali Libro antico