Natalia Ginzburg

a cura di Laura Antonietti

Natalia Ginzburg (Palermo, 1916 – Roma, 1991) è stata un’autrice, collaboratrice editoriale e traduttrice italiana.

«E c’è il pericolo di truffare con parole che non esistono davvero in noi, che abbiamo pescato su a caso fuori di noi e che mettiamo insieme con destrezza perché siamo diventati piuttosto furbi. C’è il pericolo di fare i furbi e truffare. È un mestiere abbastanza difficile, lo vedete, ma il più bello che ci sia al mondo».

N. Ginzburg, Il mio mestiere

Vita e formazione
Natalia Levi nasce a Palermo il 14 luglio 1916, da Giuseppe Levi, ebreo triestino e professore di anatomia, e Livia Tanzi, cattolica milanese e figlia di Carlo Tanzi, avvocato socialista amico di Filippo Turati. La famiglia si trasferisce a Torino nel 1919, dove Giuseppe Levi ottiene una cattedra universitaria. Ultima di cinque figli, Natalia compie gli studi elementari privatamente e riceve dai genitori un’educazione laica, trascorrendo in solitudine la sua infanzia e componendo poesie.

Frequenta con scarsi risultati il liceo ginnasio Vittorio Alfieri (si diploma da privatista) e inizia a scrivere racconti: il primo di questi, Un’assenza, viene letto da Leone Ginzburg, intellettuale ebreo e fondatore della casa editrice Einaudi (1933), amico e compagno di lotta antifascista del fratello di Natalia, Mario. Leone promuove Natalia presso diverse riviste contemporanee e tra i due inizia un’amicizia che si trasforma in un sodalizio intellettuale e amoroso: si sposano nel 1938 e nel 1940 si trasferiscono, insieme ai figli Carlo (1939) e Andrea (1940) a Pizzoli, dove Leone viene mandato al confino; una terza figlia, Alessandra, nasce negli anni dell’esilio (1943). In questo contesto Leone continua, per quanto possibile, il lavoro editoriale e Natalia si dedica alla scrittura, traducendo inoltre per Einaudi il primo volume della Recherche di Proust. Dopo la caduta di Mussolini, Leone parte alla volta di Roma, dove gli venne affidata la direzione del giornale clandestino «L’Italia libera» e della sede locale di Einaudi. Catturato dai fascisti il 20 novembre e riconosciuto come ebreo agli inizi di dicembre, muore torturato dai nazisti nella notte tra il 4 e il 5 febbraio 1944. Natalia, che lo aveva seguito a Roma, riesce a mettersi in salvo a Firenze: torna nella capitale, una volta liberata, dove inizia a lavorare presso la sede romana di Einaudi come redattrice.

Nel 1945 è nuovamente a Torino, sede principale della casa editrice, all’interno della quale il suo ruolo diventa sempre più importante. Nel 1952 si trasferisce a Roma per seguire il secondo marito, l’anglista Gabriele Baldini, sposato nel 1950. Dalla loro unione nascono due figli: Susanna (1954), affetta da una forte disabilità, e Antonio (1959), che sopravvive solo quindici mesi. Lo stesso Baldini morirà precocemente, a soli cinquant’anni, per epatite virale.
Dal 1952, Natalia lavora alla sede romana dell’editore, per poi diventare consulente esterna nel 1956. I rapporti con Einaudi continuano, come autrice e come collaboratrice, anche quando Ginzburg si trasferisce a Londra (dove Baldini ha ricevuto incarico come direttore dell’Istituto italiano di cultura) tra il 1959 e il 1961, per poi interrompersi bruscamente quanto provvisoriamente nel 1964, all’indomani del successo di Lessico famigliare, a causa di un problema di pagamenti, sintomo secondo Ginzburg di una più generale cattiva gestione delle relazioni con gli autori. Se nella seconda metà degli anni Sessanta pubblica ancora con Einaudi le sue commedie teatrali, passa poi ad altri editori (Garzanti e Mondadori).
Ginzburg torna da Einaudi come autrice nel 1977, con la pubblicazione di Famiglia, e la collaborazione editoriale riprende nel 1978. All’attività di scrittura e a quella di consulenza editoriale, si affianca l’impegno politico: nel 1983, e nuovamente nel 1987, è eletta al parlamento, nelle liste del PCI, entrando a far parte del gruppo della Sinistra indipendente. Nel 1987, alla messa all’asta dell’Einaudi, Ginzburg rescinde il contratto di consulenza, continuando tuttavia la collaborazione e la pubblicazione delle ultime opere con quello che lei definiva «il suo vero editore». Muore a Roma il 7 ottobre 1991.

Attività letteraria
Ginzburg inizia a scrivere racconti sin dagli anni del liceo ed esordisce sulle pagine di «Solaria» nel 1934, con I bambini e Giulietta: il racconto sarà la sua forma di espressione prediletta fino al 1942, quando pubblica presso Einaudi con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte, a causa delle leggi razziali, La strada che va in città, scritto duranti gli anni del confino a Pizzoli. Nel 1945 il romanzo uscirà, insieme a tre racconti (Un’assenza, Mio marito, Casa al mare), con il nome Natalia Ginzburg, adottato per la prima volta 1944, quando l’autrice pubblica la poesia Memoria, uscita sulla rivista «Mercurio» nel dicembre, in cui affronta il tema della morte di Leone, di cui accoglie simbolicamente il nome e l’eredità morale.
Alla scrittura narrativa (È stato così, 1947; Tutti i nostri ieri, 1952; Valentino, 1957 e Le voci della sera, 1961) inizia ad affiancare la produzione saggistica: raccoglie diversi testi usciti su rivista (altri inediti) tra il 1944 e il 1962, nel volume Le piccole virtù. Un secondo volume di saggi, Mai devi domandarmi, viene pubblicato nel 1970 (mentre un terzo Vita immaginaria, risale al 1974 e un quarto, Non possiamo saperlo, uscirà postumo del 2001, a cura di Domenico Scarpa): esso contiene una serie di articoli precedentemente pubblicati sulla «Stampa». Ginzburg mantiene infatti, per lunghi anni, un’attività di collaborazione con diversi giornali: oltre che con «La Stampa» e in seguito con «L’Unità», negli anni Settanta scrive sul settimanale romano «Il Mondo», dove firma per circa un anno, a partire dalla primavera 1975, la critica cinematografica, e sul «Corriere della sera», dove si occupa di cultura e di letteratura in senso ampio, così come di critica televisiva. Nel 1963 pubblica il suo romanzo più celebre, di matrice autobiografica, Lessico famigliare, e l’anno successivo esce la raccolta einaudiana Cinque romanzi brevi. A un silenzio narrativo che si interrompe solo nel 1973 con Caro Michele (a cui seguono Sagittario nel 1977 e Famiglia nel 1977), si accompagna un’intensa attività di scrittura teatrale: Ti ho sposato per allegria esce nel 1966; Paese di mare nel 1971; Il Teatro, che riunisce tutta la produzione di Ginzburg in questo ambito, nel 1990. Negli ultimi anni della sua vita, Ginzburg raduna le sue opere in due volumi dei «Meridiani» di Mondadori (Opere raccolte e ordinate dall’autore, 1986-1987) e sperimenta diversi generi letterari, come nella Famiglia Manzoni (1983), una sorta di biografia collettiva che ricostruisce attraverso le fonti d’archivio i rapporti tra i membri della famiglia dello scrittore milanese, o nel romanzo epistolare La famiglia e la casa (1984) o ancora nel pamphlet Serena Cruz o la vera giustizia (1990).

Luoghi di produzione e relazioni intellettuali
Il centro delle relazioni intellettuali e personali di Natalia Ginzburg è costituito dal laboratorio intellettuale einaudiano: assiste come «ospite non richiesto e casuale» (come moglie di Leone) alla nascita della casa editrice, collabora come traduttrice dalla fine degli anni Trenta ed entra ufficialmente a far parte della redazione nel 1944. Da Torino fino agli anni Cinquanta e da Roma in seguito (oltre che durante la parentesi londinese), Ginzburg assiste all’intera parabola einaudiana, assumendo all’interno della casa editrice un ruolo fondamentale, sia come collaboratrice sia come autrice. Da presenza secondaria, diventa uno dei riferimenti principali, in particolar modo per la narrativa, di cui è dal 1948 all’inizio degli anni Cinquanta la referente principale: lo stesso Giulio Einaudi la definisce a posteriori il «perno del lavoro editoriale negli anni dopo la Liberazione» (Ginzburg, 1999). È sempre all’interno della rete einaudiana che Ginzburg conosce le figure fondamentali nella sua formazione e nel suo percorso letterario: tra di esse ricordiamo almeno Cesare Pavese, che assume il ruolo di maestro di scrittura e di lavoro editoriale, Felice Balbo, con cui Ginzburg continua il suo apprendistato politico (iniziato con Leone, da cui aveva ereditato una concezione etica e non ideologica della politica) e Italo Calvino, con cui Ginzburg vive un lungo sodalizio amicale e intellettuale, fatto di valutazioni editoriali spesso affini, ma anche di letture attente e appassionate della reciproche opere.

Poetica e pensiero
Per riflettere sulla poetica di Ginzburg è opportuno partire dalla prefazione autoriale che apre la raccolta dei Cinque romanzi brevi del 1964, in cui la scrittrice, in seguito al successo di Lessico famigliare, riflette sulla sua scrittura e ricostruisce il suo percorso autoriale. Libro «di segno intellettuale, dove la creatività letteraria rivolge domande a se stessa» come scrive Cesare Garboli nell’introduzione all’edizione del 1993, i Cinque romanzi brevi separano di fatto in due la produzione narrativa ginzburghiana: una fase pre-Lessico e una post-Lessico. La prima, che risente dell’influenza pavesiana e neorealista, così come della narrativa americana coeva, si addentra in un secondo momento nella rielaborazione poetica della Resistenza con Tutti i nostri ieri (1952) e in misura minore anche in Le voci della sera (1961), un romanzo in cui nella predominanza del dialogo si legge l’influsso della scrittrice inglese Ivy Compton-Burnett. Nella prefazione ai Cinque romanzi brevi Ginzburg descrive, racconto per racconto, il suo approdo all’«io», ossia il suo lento avvicinamento alla dimensione famigliare e quotidiana dell’autobiografia e della memoria, per lungo tempo intenzionalmente evitata come una «paternità inaccettabile»: tale percorso si conclude con il Lessico, con cui l’autrice raggiunge la «pura, nuda, scoperta e dichiarata memoria». Si apre a questo punto una seconda fase narrativa, in cui Ginzburg si allontana dal racconto dell’«io» e si addentra, come abbiamo visto, nell’esplorazione di nuovi generi, dalla commedia teatrale al pamphlet, dal romanzo epistolare alla biografia collettiva: fondamentale, tuttavia, rimane il tema dei rapporti famigliari, declinati in chiave disfunzionale, nella loro assenza o nella loro privazione.

La dimensione autobiografica resta centrale in quel particolare genere che è proprio della scrittura breve di Ginzburg, a metà strada tra saggismo, memorialistica e racconto, che accompagna la sua produzione narrativa e che trova spazio nei giornali su cui interviene e nelle raccolte pubblicate a partire dagli anni Sessanta, dove Ginzburg riesce a «parlare di se stess[a], senza dire mai niente di sé» (Garboli, 1987): questi scritti sono spesso occasione di addentrarsi in una riflessione meta-autoriale, che si concentra sulle funzioni, gli scopi e le difficoltà della scrittura. Tra le varie questioni affrontate, possiamo menzionare almeno i temi centrali del ruolo della scrittura nell’elaborazione del dolore, dell’impegno e del disimpegno, delle specificità della scrittura femminile. La scrittura non può liberare dall’angoscia, non è un modo di esorcizzare il dolore; non si scrive per liberarsi dalla sofferenza, ma malgrado la sofferenza: «non dobbiamo mai cercare, nello scrivere, una consolazione», afferma Ginzburg nella prefazione ai Cinque romanzi brevi, «se c’è una cosa sicura è che è necessario scrivere senza nessuno scopo». Tra gli obiettivi che lo scrittore non deve porsi, nel suo «scrivere senza scopo», ci sono quelli politici: in un’intervista a Marino Sinibaldi (Ginzburg, 1999) Ginzburg dichiara di aver voluto fortemente il disimpegno, in riferimento all’immediato dopoguerra e alla stagione neorealista, a cui lei stessa in un primo momento partecipa come scrittrice e come editrice (è, per esempio, la principale promotrice, presso Einaudi, del romanzo resistenziale di impianto neorealista L’Agnese va a morire, di Renata Viganò nel 1949). I romanzieri hanno il compito di rappresentare la realtà, non di commentarla: «credo fermamente nella loro splendida, meravigliosa, libera inutilità», afferma nel saggio Senza una mente politica del 1983 (ora in Ginzburg, 2001), anno in cui Ginzburg si candida al parlamento. Pur nella percezione della limitatezza del proprio contributo, Ginzburg, non tanto in qualità di autrice ma come essere umano con un forte senso di appartenenza alla vita collettiva e con un impegno civile profondo, si accosta nuovamente alla dimensione dell’impegno: in tal senso si risolve l’apparente paradosso tra piano riflessivo e piano fattuale.

Un ultimo aspetto estremamente significativo nella riflessione autoriale di Ginzburg è quello relativo alla scrittura femminile: la giovane autrice, come lei stessa afferma in diversi punti della sua produzione saggistica, voleva «scrivere come un uomo» e intendeva allontanarsi il più possibile dalle marche tradizionalmente (e in modo stereotipato) identificate come caratterizzanti la scrittura femminile, come ad esempio il sentimentalismo e la «tentazione all’autobiografia» (Ginzburg, 1964). Nel corso della sua maturazione artistica, Ginzburg si affranca progressivamente dal desiderio di scrivere come un uomo e accetta le specificità della cifra femminile della propria scrittura, che la critica (Calvino e Garboli in primis) mette in evidenza come fondamento del suo processo creativo, mantenendo tuttavia un rapporto complesso e a tratti conflittuale con la “questione femminile”.

Critica e ricezione
Natalia Ginzburg si impone sin dagli anni Quaranta come autrice di punta del catalogo einaudiano. Se la sua carriera di scrittrice arriva all’apice nel 1963, con l’assegnazione del premio Strega per Lessico famigliare, non erano mancati negli anni precedenti significativi riconoscimenti, come testimoniano i numerosi premi letterari che le vengono assegnati: vince il premio Due Cicogne – Il Tempo di Milano con È stato così (1948); il premio Charles Veillon per Tutti i nostri ieri (1952); il premio Viareggio per Valentino (1957); il premio Chianciano con Le voci della sera (1961, anno in cui finisce tra i finalisti dello Strega). Successivamente, l’ormai affermata Ginzburg, le cui opere vengono tradotte in più di venti lingue e che scrive sulle pagine dei principali quotidiani nazionali, riceve il premio internazionale Marzotto per la commedia L’inserzione (1961) e il premio Bagutta per La famiglia Manzoni (1984). Non tarderà ad arrivare la consacrazione editoriale: nel 1986-1987 Ginzburg entra infatti nella prestigiosa collana dei «Meridiani» di Mondadori. Anche i giudizi critici coevi dimostrano la fortuna delle sue opere, la cui forza si trova nel contrasto che emerge tra la «provenienza intellettuale» dell’autrice e la sua rara capacità «di farsi leggere e ascoltare da tutti grazie a un linguaggio in apparenza “basso” e comune, umile e semplice» (Garboli, 1987), così come tra le «situazioni che sembrano troppo complesse per le sue forze» e «i mezzi linguistici e concettuali che essa usa per rappresentarli»: da questa sproporzione nasce la tensione poetica propria delle opere di Ginzburg (Calvino, 1995).
Se negli ultimi decenni a Ginzburg è stato assegnato un posto nella tradizione e nel canone letterario, nel contesto del più generale processo di rivalutazione del fondamentale contributo delle autrici all’interno della letteratura del Novecento (come testimonia il lento ma sicuro ampliamento dello spazio a esse dedicato nelle antologie e nei manuali scolastici e universitari), si riscontra negli ultimi anni un interesse crescente in sede critica anche per la Ginzburg traduttrice ed editrice: coordinatrice di traduzioni e traduttrice di Proust, Maupassant, Flaubert, Vercors e Duras (ma l’elenco potrebbe continuare), responsabile di fondamentali scoperte letterarie, come Elsa Morante, Renata Viganò, Anna Frank, Dolores Prato, Carmelo Samonà o Salvatore Mannuzzu (e anche in questo caso la lista non è esaustiva), Ginzburg ha rappresentato nel corso degli anni della longeva collaborazione einaudiana una «lettrice formidabile» e la «coscienza critica della casa editrice», secondo le parole dello stesso Giulio Einaudi. A lungo «protagonista nell’ombra», per impiegare un’ormai celebre formula coniata da Gian Carlo Ferretti, ad oggi Ginzburg viene riconosciuta a pieno titolo tra la schiera dei «letterati editori» (e citiamo in questo caso un’altra fortunata espressione di Alberto Cadioli) che più hanno contribuito a definire il panorama editoriale italiano del secolo scorso.

Fondazioni e archivi
Il Centro per gli studi sulla tradizione manoscritta di autori moderni e contemporanei dell’Università degli studi di Pavia conserva una stesura autografa di Lessico famigliare, la Biblioteca nazionale centrale di Roma quella di La città e la casa. Le carte editoriali di Ginzburg si trovano invece nell’Archivio storico della casa editrice Einaudi, conservato presso l’Archivio di Stato di Torino.

Opere e edizioni
La strada che va in città, Torino, Einaudi, 1942 (con lo pseudonimo di Alessandra Tornimparte).
La strada che va in città e altri racconti, Torino, Einaudi, 1945.
È stato così, Torino, Einaudi, 1947.
Tutti i nostri ieri, Torino, Einaudi, 1952.
Valentino, Torino, Einaudi, 1957.
Le voci della sera, Torino, Einaudi, 1961.
Le piccole virtù, Torino, Einaudi, 1962.
Lessico famigliare, Torino, Einaudi, 1963.
Cinque romanzi brevi, Torino, Einaudi, 1964.
Ti ho sposato per allegria, Torino, Einaudi, 1966.
Mai devi domandarmi, Milano, Garzanti, 1970.
Paese di mare, Milano, Garzanti, 1971.
Caro Michele, Milano, Mondadori, 1973.
Vita immaginaria, Milano, Mondadori, 1974.
Sagittario, Torino, Einaudi, 1977.
Famiglia, Torino, Einaudi, 1977.
La famiglia Manzoni, Torino, Einaudi, 1983.
La città e la casa, Torino, Einaudi, 1984.
Opere raccolte e ordinate dall’autore, introduzione di C. Garboli, II voll., Milano, Mondadori, 1986-1987
Serena Cruz o la vera giustizia, Torino, Einaudi, 1990
Teatro, Torino, Einaudi, 1990
È difficile parlare di sé. Conversazione a più voci condotta da Marino Sinibaldi, a cura di C. Garboli e L. Ginzburg, Torino, Einaudi, 1999
Non possiamo saperlo. Saggi 1973-1990, a cura di D. Scarpa, Torino, Einaudi, 2001
Tutto il teatro, a cura di D. Scarpa, Torino, Einaudi, 2005
Un’assenza. Racconti, memorie, cronache 1933-1988, a cura di D. Scarpa, Torino, Einaudi, 2016

Bibliografia
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Si rimanda, per gli approfondimenti sulle singole opere di Ginzburg, ai materiali introduttivi e in appendice delle più recenti edizioni, a cura di Domenico Scarpa: Non possiamo saperlo. Saggi 1973-1990, Torino, Einaudi, 2001, pp. 185-210; Tutto il teatro, Torino, Einaudi, 2005, pp. 429-458; Valentino La madre Sagittario, Torino, Einaudi, 2011, pp. 139-171; La strada che va in città e altri racconti, introduzione di C. Garboli, Torino, Einaudi, 2012,pp. XI-XLII e pp. XXX 107-165; Lessico famigliare, introduzione di C. Segre, Torino, Einaudi, 2014, pp. 191-229; Mai devi domandarmi, introduzione di C. Garboli, Torino, Einaudi, 2014, pp. 215-244 e pp. 247-29;1 Le voci della sera, introduzione di I. Calvino, Torino, Einaudi, 2015, pp. 103-147; Le piccole virtù, prefazione di A. Sofri,Torino, Einaudi, 2015, pp. pp. XI-XLII e pp. 113-151; Un’assenza. Racconti, memorie, cronache, a cura di D. Scarpa, Torino, Einaudi, 2016, pp. V-X, pp. 261-296 e pp. 299-359; È stato così, prefazione di C. Garboli, con uno scritto di I. Calvino, Torino, Einaudi, 2018,pp. 89-94; Famiglia, Torino, Einaudi, 2018, pp. V-XIII e pp. 117-137; Vita immaginaria, Torino, Einaudi, 2021 pp. 169-193.



Autrice Ginzburg Natalia
Secolo XX
Genere letterario Narrativa, Saggistica, Teatro, Traduzione
Testi digitali